Commedia in tre atti di L.
Pirandello (1921), la prima di una trilogia detta del “teatro nel
teatro”. All'interno di un teatro, nel quale si stanno svolgendo le prove
di una commedia dello stesso Pirandello, irrompono all'improvviso sei
personaggi, che si qualificano come il Padre, la Madre, il Figlio, la
Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, i quali si presentano dal capocomico e
gli chiedono di mettere in scena la loro storia, al fine di dare concretezza
artistica alla loro vicenda e quindi alla loro vita. Raccontano infatti di
essere stati inventati da un autore che li ha però abbandonati, insieme
al dramma del quale erano protagonisti, senza risolvere la loro storia nelle
forme dell'arte. Dinanzi agli attori, i personaggi tentano di ricostruire
l'intreccio dell'opera, che coincide con la loro stessa esistenza, ma ciascuno
fornisce una propria personale interpretazione dei fatti (che culminano
nell'incontro del Padre con la Figliastra in una casa d'appuntamenti).
Analogamente gli attori, che sotto la guida del capocomico iniziano a recitare
cercando di calarsi nei panni dei personaggi, creano a loro volta altre
realtà che, pur vere secondo le convenzioni sceniche e teatrali, non
corrispondono però all'autentica esistenza dei personaggi stessi.
Costoro, creature vive e autonome quali ormai sono, soffrono di veder
imprigionate le loro vicende negli schemi convenzionali del linguaggio scenico;
tuttavia, la finzione teatrale a cui il capocomico grossolanamente li avvia
rappresenta per loro l'unica via di scampo. Alla prima rappresentazione la
commedia fu assai contestata, ma ben presto si affermò come uno dei testi
più innovativi e significativi del teatro del Novecento; definita da
Pirandello stesso “commedia da fare”, è un indubbio
capolavoro che investe, con un
pathos morale altissimo, il contrasto tra
arte e vita, tra finzione e realtà.